L'espatriato. Diario 1984-1990 (0)

Trama

Dai risvolti della sovraccoperta: «Siamo tutti degli espatriati, siamo tutti dei condannati a morte...» Cosi inizia il quattordicesimo e ultimo volume finora apparso dello sterminato Diario di Julien Green (che, nato nel 1900, cominciò a tenerlo nel 1919), il più lungo mai pubblicato e, quasi sicuramente, anche il più lungo mai scritto, degno di affiancare quello di Gide per eleganza di scrittura e, forse, di superarlo per profondità e ricchezza spirituale. Con la frase che abbiamo ricordato, cosi perentoria e, insieme, colma di disarmata rassegnazione, egli ci immerge di colpo nel disordine degli ultimi anni del nostro secolo, non da spregiatore dei problemi, ma da uomo senza illusioni, sensibile però ai soprassalti della Storia. Il ridestarsi della libertà non lo acceca affatto, e l'Europa, cosi come viene formandosi, gli sembra un'aggregazione piena di mistero. Indifferente alla politica, ma pacifista, ausculta gli avvenimenti che ci stanno portando al XXI secolo. Guerre, tirannidi, terrorismo, droga, Aids: ecco quali sono per Green i veri ostacoli alla comprensione del mondo futuro. Tuttavia, questo Diario, se da un lato riserva uno spazio considerevole alle osservazioni storiche, dall'altro le colloca nell'ottica che lo ha sempre caratterizzato: la brevità del nostro passaggio sulla terra. Ciò che desta più meraviglia in queste pagine è la loro freschezza di espressione e il carattere appassionato che rivelano. Green ci parla di tutte le cose che lo interessano e in particolare di quelle che «fanno» la bellezza del mondo: la musica, la natura, la poesia. Chi legge le scoprirà per caso, come è naturale, data la varietà del contenuto, ma soprattutto avrà l'impressione di penetrare con discrezione in casa di un uomo pieno di humour, che tuttavia gli farà comprendere - attraverso il significato sempre più vivo della libertà individuale - il senso profondo dell'amore.