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Circe (40)

Madeline Miller

Editore: Marsilio - Feltrinelli

Anno: 2021

Lingua: Italiano

Rilegatura: Brossura

Pagine: 416 Pagine

Isbn 10: 8829705322

Isbn 13: 9788829705320

Trama

Ci sembra di sapere tutto della storia di Circe, la maga raccontata da Omero, che ama Odisseo e trasforma i suoi compagni in maiali. Eppure esistono un prima e un dopo nella vita di questa figura, che ne fanno uno dei personaggi femminili più fascinosi e complessi della tradizione classica. Circe è figlia di Elios, dio del sole, e della ninfa Perseide, ma è tanto diversa dai genitori e dai fratelli divini: ha un aspetto fosco, un carattere difficile, un temperamento indipendente; è perfino sensibile al dolore del mondo e preferisce la compagnia dei mortali a quella degli dèi. Quando, a causa di queste sue eccentricità, finisce esiliata sull'isola di Eea, non si perde d'animo, studia le virtù delle piante, impara a addomesticare le bestie selvatiche, affina le arti magiche. Ma Circe è soprattutto una donna di passioni: amore, amicizia, rivalità, paura, rabbia, nostalgia accompagnano gli incontri che le riserva il destino – con l'ingegnoso Dedalo, con il mostruoso Minotauro, con la feroce Scilla, con la tragica Medea, con l'astuto Odisseo, naturalmente, e infine con la misteriosa Penelope. Finché – non più solo maga, ma anche amante e madre – dovrà armarsi contro le ostilità dell'Olimpo e scegliere, una volta per tutte, se appartenere al mondo degli dèi, dov'è nata, o a quello dei mortali, che ha imparato ad amare. Poggiando su una solida conoscenza delle fonti e su una profonda comprensione dello spirito greco, Madeline Miller fa rivivere una delle figure più conturbanti del mito e ci regala uno sguardo originale sulle grandi storie dell'antichità.

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Le recensioni degli AccioBookers

Katelikki

Recensito il 10/01/2023

In questo retelling del mito della maga Circe la sua figura è descritta come una donna più umana che divina. La sua storia è raccontata in prima persona, dalla sua nascita fino al ritorno dall'esilio dopo aver lasciato andare suo figlio Telegono. La scrittura non è pesante anzi, è risultata scorrevole e coinvolgente e la storia è avvincente, tuttavia non essendo ferrata in mitologia greca ho fatto un po' fatica in alcuni punti a unire il tutto e a seguire il filo del discorso e ho dovuto aiutarmi cercando informazioni riguardo i personaggi su Internet. Circe è una figura attraverso la quale ogni donna che stia combattendo per la propria indipendenza e per affermarsi nel mondo può rispecchiarsi. La società degli dei e dei titani è anch'essa lo specchio della nostra dove Circe, malvista dalla nascita e diversa dagli altri dei, è riuscita ad emergere per il suo carattere, la sua sensibilità e la sua forza. In sintesi è stata una piacevole e interessante lettura e la consiglio a chi cerca un romanzo avventuroso e a chi è appassionato di mitologia e cerca un retelling fatto coi fiocchi. SCAMBIATO.

.deni.

Recensito il 30/03/2023

Il

Utente eliminato

Recensito il 03/04/2023

-

🌙Brotchen33🔮

Recensito il 28/04/2023

Adorato

alessiab

Recensito il 12/08/2023

Prime pagine dal ritmo un po' lento: la storia non decolla e ho faticato a empatizzare con la protagonista → vittima sì della famiglia, ma anche di se stessa e della storia che si racconta: innocente, tenerella, brava bambina, pura.

I momenti alti del romanzo sono: 

  • Circe che arriva sulla sua isola, l'isola di Eea, e riesce a diventare se stessa, Circe la maga, una dea indipendente, che basta a se stessa, che trova dentro di sé la forza, la volontà, il coraggio di relazionarsi con il mondo e, partendo da ciò che ha intorno, lo rivoluziona e lo plasma per ottenere ciò di cui ha bisogno.

Entrai in quel bosco e la mia vita ebbe inizio.

Imparai a intrecciarmi i capelli all'indietro, così da non impigliarmi a ogni ramoscello, e a legarmi la veste al ginocchio, così da non offrirne gli orli alle spine. Imparai a riconoscere i rampicanti in fiore e le rose dai colori sgargianti, ad avvistare le libellule e i serpenti arrotolati in spine. Scalai le cime dove i cipressi, neri, arpionavano il cielo, poi le discesi fino ai frutteti e alle vigne dove grappoli color porpora crescevano fitti come corallo. Percorsi le colline, i fruscianti prati di lillà, e lasciai le mie orme sulla sabbia gialla  delle spiagge. Perlustrai ogni insenatura e grotta, trovai le baie più dolci e gli attracchi più sicuri per le navi. Udii l'ululato dei lupi e il gracidare delle rane nello stagno. Accarezzai la bruna corazza lucida degli scorpioni che mi affrontarono a colpi di coda. Il loro veleno, a malapena un pizzicore. Mi ubriacai, come mai avevo fatto con il vino e il nettare nelle sale di mio padre. Non c'è da meravigliarsi che io sia stata così lenta, pensai. Per tutto questo tempo sono stata una tessitrice senza lana, una nave senza mare. E guarda adesso dove veleggio.

La sera tornai nella mia casa. Non mi turbavano più le sue ombre, poiché indicavano che lo sguardo di mio padre aveva abbandonato il cielo e le ore erano mie soltanto. Nemmeno mi turbava più il vuoto.

  • Circe che, per amore di un uomo, immagina la sua vita da donna, non da dea. E' lei che sceglie di voler diventare donna: Telegono non glielo chiede, non glielo impone, non glielo propone nemmeno. Speciale - anche se dovrebbe essere “normale” - la relazione che si crea tra Circe e Telegono: si amano, si vogliono, sono equi ma non uguali: l'uno offre all'altra quello che può, senza richiedere la stessa misura, bensì apprezzando quello che l'altro può dare e dà: “vivendo della mia magia e della sua falegnameria”. Circe non solo sceglie Telegono, ma scegli la sua imperfezione: sceglie l'umanità. Nonostante la magia - forse grazie alla magia, che nient'altro è che il talento, il genio, l'impegno e la passione di ciascuno - quello di Circe è un inno all'umanità: alla sua caducità e alla sua inutilità, all'arte e alla cultura che sono cura e rimedio.

Sono invecchiata. Quando mi guardo nel bronzo lucido dello specchio vedo le rughe sul mio viso. Sono anche ingrossata e la pelle ha cominciato a cedere. Mentre lavoro alle erbe mi taglio e le cicatrici perdurano. A volte mi piace. A volte mi sento inutile e insoddisfatta. Ma non vorrei mai tornare quella che ero. Naturalmente la mia carne ambisce alla terra. A lei appartiene. Un giorno, Ermes mi condurrà alla dimora dei morti. Ci riconosceremo a malapena, perché avrò i capelli bianchi […].

So quanto sono fortunata, instupidita dalla fortuna, traboccante di fortuna, ebbra e incespicante di fortuna. A volte mi sveglio nel buio terrorizzata dalla precarietà della mia vita, dal suo esile respiro. Accanto a me, mio marito, il polso che gli batte nella gola; nei loro letti, le mie figlie mostrano sulla pelle ogni più piccolo graffio. Un soffio di brezza potrebbe spazzarle via, e al mondo c'è ben più della brezza: disastri su disastri, mostri e dolore in migliaia di possibili varianti. […] Come posso continuare a vivere sotto il peso di una simile sorte?

Allora mi alzo e vado alle mie erbe. Creo qualcosa, trasformo qualcosa.

[…]

Circe, dice, andrà tutto bene.

Non sono le parole di un oracolo né di un profeta. […] Lui non intende dire che non fa male. Non intende dire che non siamo spaventati. Solo questo: che siamo qui. E' questo che vuol dire nuotare nella corrente, camminare sulla terra e sentirne il tocco sotto i piedi. E' questo che significa essere vivi.

Altri punti interessanti:

  • il rapporto che si instaura tra Circe e Penelope: dovrebbero essere rivali, eppure tra loro nasce solidarietà, sorellanza
  • il rapporto con Ermes: sfruttamento reciproco con consenso
  • Circe nei primi anni di vita con il figlio Telemaco: la fatica, l'esaurimento, la sensazione di non poter essere altro se non madre