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L'impronta del gatto (1)

Augusto De Angelis

Genere: Gialli,

Editore: Mondadori

Anno: 2021

Lingua: Italiano

Rilegatura: Flessibile

Pagine: 172 Pagine

Trama

Milano anni trenta. Il Commissario De Vincenzi è alle prese con l’assassinio di un depravato milionario venezuelano. Il cadavere è trovato proprio sul portone dell’abitazione della vittima. Ma le zampette sporche di sangue del felino conducono in tutt'altra direzione.
A leggere Augusto De Angelis e la sua saga del Commissario De Vincenzi della Mobile di Milano, di cui in questa collana pubblichiamo la sesta avventura, si incontra subito il piacere di un buon giallo, di articolato costrutto, dai vivi personaggi e dalle scenografie esoticamente tardo Déco. Ma c’è anche un interessante contorno storico che rende più stimolante intellettualmente e complesso il processo dell’immedesimazione. Augusto De Angelis scriveva, problematicamente e con pieno successo nel Ventennio fascista, inaugurando in Italia un genere letterario, il giallo, che il regime, vanaglorioso di «porte aperte», vedeva come fumo negli occhi. Per cui i suoi polizieschi sono un saggio, una testimonianza, dei rapporti tra il fascismo e la cultura, tra sudditanza obbligata e indipendenza inevitabile, tra occhiuto controllo e margini di libertà. Innanzitutto l’ambiguo rapporto con la cultura di massa: pur avendo in sospetto il fascismo il genere giallo, con De Angelis, scrittore benaccetto, nasceva in quell’epoca l’autentico giallo italiano, non più la scialba, balbettante ripetizione dei soliti investigatori importati da Francia America o Gran Bretagna, a dimostrazione che con la cultura di massa allora incipiente, promossa e ampiamente sfruttata dal potere, era d’obbligo accogliere anche i frutti meno digeribili. Nondimeno, il Minculpop esigeva le sue regole: solo delitti in ambienti esotici e viziosi, cosmopolitici o bohémien; solo delinquenti stranieri e con lo stigma di qualche depravazione; solo lieto fine, affinché smascherare il colpevole magnificasse il trionfo dell’ordine sul disordine. L’autore le rispettava, ma senza rinunciare a far trasparire, a capirlo come oggi si capisce, una sua distanza, un suo afascismo: nel carattere scettico, privo di protervia e di entusiasmo, antieroico, malinconico, di gusti umanistici e atteggiamenti tolleranti del Commissario da lui creato. Il quale, nell’inchiesta dell’Impronta del gatto affronta l’assassinio di un depravato milionario venezuelano, vivente a Milano. Il cadavere è trovato proprio sul portone dell’abitazione della vittima. Ma spunta il felino con le sue zampette sporche di sangue e rimette in moto verso una direzione diversa De Vincenzi, che, lento e agile un po’ come un gatto anche lui, ha il genio di profittare delle opportunità del caso.

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