Tempo di lettura stimato:
5h 46m
Genere: Oriente,
Editore: Bompiani
Lingua: Italiano
Rilegatura: Rigida
Pagine: 173 Pagine
Trama
Se vi è, oltre a quello cronologico, un altro filo conduttore che collega questi tre racconti, esso va rintracciato in uno dei due moduli narrativi che, secondo il critico Kenkichi Yamamoto, hanno costantemente sorretto l’ispirazione di Yasushi Inoue: il lirico e l’epico. Al primo di essi vanno infatti ricondotte le risonanze poetiche evidenti nella lingua e nello stile, e soprattutto nell’insistita scelta tematica della solitudine come destino ineludibile dell’individuo. Ambientato nell’atmosfera inquieta e disorientata del dopoguerra, il primo dei tre racconti, La lotta dei tori, descrive con allusioni marcatamente autobiografiche la vicenda di un giornalista votato allo scacco, le cui sfide tracotanti si traducono in un patetico annaspare nel vuoto. La narrazione si dipana seguendo passo passo le drammatiche fasi organizzative della gara in cui sono coinvolti interessi d’ogni genere e svelando via via come avidità , spregiudicatezza e ambizione non siano altro che ossessioni attraverso cui gli uomini cercano maldestramente di riscattare il loro smarrimento per la perdita di solide linee di condotta. Affermazione sociale e sfacelo dei rapporti umani vengono messi a fuoco alternativamente su uno stesso sfondo, come in dissolvenza incrociata. E lo scontro frontale dei tori, evento culminante e risolutivo delle tensioni, appare un emblema che doppia e suggella la quotidianità degli scambi umani. La vena lirico-passionale di Inoue viene precisandosi e accentuandosi nel Fucile da caccia, dove l’espediente narrativo dello spiazzamento continuo del punto di vista è inserito in una cornice che lo riannoda al tema metafisico caro a Inoue dell’ambiguità dei rapporti fra contingenza e predestinazione. Capita infatti all’io narrante di venir invitato a comporre un poemetto sul tema della caccia e di scegliere come soggetto la solitaria figura di un cacciatore intravisto di spalle molto tempo addietro. Ma, quasi per una magia da teatro No, il testo poetico interferisce sulla realtà e l’ignoto cacciatore, affiorato dal suo mondo immaginario, fa recapitare al narratore tre lettere che racchiudono la chiave del mistero del suo desolato vagare col fucile in spalla. Se da un lato lo scambio di piani tra reale e immaginario addita nella poesia il sentiero che può condurre al senso più riposto delle cose, dall’altro la circolarità che viene postulata tra evento occasionaI e e destino già scritto rinvia apertamente alla concezione buddhista della reversibilità del tempo. E, non a caso, l’esordio di Inoue era avvenuto proprio col romanzo Ruten (Metempsicosi). Sulle orme solitarie dei personaggi dei primi due racconti si muovono anche i passi dello scienziato ShuntarŠ Miike, ennesima citazione autobiografica dell’autore (dietro cui si adombra la figura del suo stesso suocero, luminare dell’anatomia) ed eroe tragico della Montagna Hira. Ormai alla fine della vita, l’indomabile vecchio fugge da casa e torna, come già altre volte, ai piedi del monte Hira per consolare con l’immacolato candore di nevi e rododendri, sempre vagheggiato di lontano e sempre rimasto inaccessibile, la propria insaziata e insaziabile sete di purezza e di verità . Ripercorrendo nella memoria le vicende che in circostanze cruciali l’avevano sospinto a tornare laggiù, egli ricompone il tessuto della sua vita, ne rilegge la sostanziale inconsistenza e ne individua l’antidoto nell’etica vitalistica dell’agire puro, dell’impegno nella ricerca disinteressata e inesausta che è premio a se stessa.
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