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Genere: Lingue,
Editore: Effequ
Anno: 2019
Lingua: Italiano
Rilegatura: Brossura
Pagine: 227 Pagine
Isbn 10: 8898837666
Isbn 13: 9788898837663
Trama
Sindaca, architetta, avvocata: c'è chi ritiene intollerabile una declinazione al femminile di alcune professioni. E dietro a queste reazioni c'è un mondo di parole, un mondo fatto di storia e di usi che riflette quel che pensiamo, come ci costruiamo. Attraverso le innumerevoli esperienze avute sui social, personali e dell'Accademia della Crusca, l'autrice smonta, pezzo per pezzo, tutte le convinzioni linguistiche della comunità italiana, rintracciandone l'inclinazione irrimediabilmente maschilista. Questo libro mostra in che modo una rideterminazione del femminile si possa pensare a partire dalle sue parole e da un uso consapevole di esse, vero primo passo per una pratica femminista. Tutto con l'ironia che solo una social-linguista può avere.
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Le recensioni degli AccioBookers
_elescarn
Recensito il 15/07/2024
Ho trovato tre regole che descrivono le nostre reazioni alla tecnologia:
“Se la reazione di resistenza è comprensibile, occorre però anche provare a superarla; è naturale che la persona che ne sa meno su un argomento diventi aggressiva nel difendere le proprie idee: tale aggressività è proprio conseguenza del disagio di non essere sicuri rispetto alle competenze o alle nozioni che si hanno. L'ineducato beneducato è una figura mitologica che, in realta, raramente esiste. E si consideri che spesso l'ineducato non ha consapevolezza della sua ineducazione: non sa di non sapere, tanto per citare il precetto socratico.” (pag. 69)
“A dire il vero io mi trovo più rattristata dal fatto che una donna possa pensare che ci sia bisogno della -o per sottolineare la parità di genere. Comunque, molte donne preferiscono essere appellate al maschile: io, da linguista, posso dire che i femminili sono corretti, non che i maschili sono sbagliati. Come spesso mi trovo a ribadire, saranno il tempo e la massa dei parlanti a decidere, tra qualche decennio, cosa prevarrà nell'uso. E nel frattempo, stare a odiare e dileggiare chi la vede diversamente è davvero uno spreco di energie.” (pag. 128)
“La lingua non è 'chiacchiera: è il mezzo che noi, in quanto esseri umani, abbiamo per decodificare la realtà. Negare che sia collegata a questioni sociali e politiche sarebbe da veri sciocchi: la lingua vive della relazione continua con ciò che deve descrivere. La vera domanda da porsi è quale sia la reale differenza tra infermiera e ingegnera. Infermiera è forse discriminante? Io trovo infinitamente più (auto) discriminante dover usare il maschile per ribadire la propria professionalità, come se l'essere una donna la compromettesse automaticamente. Se così è, be', forse occorre iniziare a lavorare sulla mentalità di chi (sia maschio che femmina) vede nel femminili una forma di discriminazione.” (pag. 130)
Come a dire: "Se faccio un mestiere figo, allora mi definisco al maschile. Ma operaie, sarte, maestre, stagiste, si definiscano tranquillamente al femminile”. […] Il femminile non sottolinea una differenza, ne è semplice conseguenza. Io trovo avvilente che essere appellata come donna, quello che rimango in tutte le funzioni che svolgo, possa essere considerato mortificante. Trovo mortificante che per essere presa sul serio debba definirmi ministro o assessore. (pag. 131)