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Trama

Purtroppo l'epistolario tra Lamartine e Giulia di Barolo è carente: a tutt'oggi ci sono pervenute, infatti, quasi esclusivamente le lettere del poeta alla marchesa e soltanto sette di questa a lui, oltre a una diretta alla madre di Alphonse, Alix de Roys, e una alla moglie, Marianne-Elise Birch, nonché due del marchese Tancredi all'amico. È molto probabile che parte di tale corrispondenza sia andata perduta, come è accaduto del resto alle lettere scritte alla marchesa da Cesare Balbo, Camillo di Cavour e da altri amici di famiglia. 

Il poeta si rivolge spesso alla marchesa con espressioni di profonda ammirazione, lasciando chiaramente intravedere un rapporto che trascende la dimensione puramente sociale per elevarsi a livello spirituale. Del resto lo stesso Lamartine, nel commento alla sua poesia intitolata La perte de l'Anjou e dedicata a Tancredi, così si esprime: «Il marchese di Barolo era mio amico, e aveva sposato una francese d'una famiglia, d'una bellezza, d'uno spirito e d'una virtù superiori». 

Il poeta, oltre a vedere nella Serva di Dio un ideale di perfezione religiosa, subiva il fascino della sua virtù e ammirava la superiorità spirituale di «un'anima che sarebbe meglio collocata nel puro etere che in un corpo di donna».

Si può constatare, infine, che la marchesa influenzò l'azione politica di Lamartine, come dimostrano alcuni suoi discorsi in difesa degli oppressi durante le sedute parlamentari fra il 1834 e il 1851, con riferimento alle grandi cause umanitarie: abolizione della pena capitale, soppressione della schiavitù ed emancipazione dei neri, tutela dell'infanzia abbandonata, difesa dell'istruzione pubblica e nuova organizzazione del lavoro all'interno delle carceri.